Life In Low-Fi

Ora basta, anarchia!

“A proposito degli allarmi e delle diffidenze sull'uso nei giornali delle “intelligenze artificiali”, Benton ha provato a far scrivere a ChatGPT un articolo di cronaca, con le stesse indicazioni che dà ai suoi studenti in un corso universitario, e il risultato ha ottenuto questo suo giudizio: “Quello prodotto da ChatGPT sarebbe stato un articolo piuttosto mediocre ma, a essere sincero, ne ho letti di peggio scritti da umani”.

Le cautele sui software di questo genere, scrive lo stesso Benton, hanno due ragionevoli argomenti: uno è che commettono degli errori, l'altro è che possono sottrarre lavoro agli umani. Ed è giusto parlarne e considerare le conseguenze. Ma quando diciamo che le “AI” producono dei risultati peggiori di quelli prodotti dai giornalisti stiamo intanto parlando dei risultati peggiori delle AI e dei risultati migliori dei giornalisti: esistono già oggi testi giornalistici prodotti da AI con risultati più dignitosi di certi trascurati, sciatti, inesatti articoli scritti da persone.”

Da Charlie, la newsletter del Post “sul dannato futuro dei giornali”.

In un mondo di “colonne destre dei gattini” e foto sistematicamente fregate da Facebook, nel quale i titoli si avvicinano sempre più spesso al modello “quello che accade dopo è sconvolgente”, direi che la minaccia è assolutamente concreta.

Perfetta messa a fuoco di Lucio Bragagnolo su cosa debbano davvero fare le “macchine”:

“La vera intelligenza artificiale non è semplicemente generare un dato, ma elaborarlo in forma compatibile con le nostre abitudini umane e metterlo a disposizione in forma funzionale e comoda.”

La macchina lavora per noi, specialmente sulle cose noiose, in maniera che ci si possa dddicate a cose più interessanti e “umane”. Che poi si sia in grado di farlo davvero, è tutto un altro discorso.

Scrive @loox che Reddit ha deciso di cancellare le chat anteriori al 2023, “come se fossero nient’altro che chiacchiere”, traendone un (ennesimo) valido argomento a sostegno della creazione e manutenzione di uno “spazio web personale”.

Suppongo che – però – il motivo sia molto più prosaicamente quello di tentare di ripulire almeno una parte della shitstorm dovuta al cambio assurdo, arbitrario e vessatorio della politica prezzi nei confronti dei client terzi.

Va da sé che, come detto mille volte, Internet non dimentica.

Ottimo post – non è una novità – di Fabrizio Venerandi che racconta la propria disavventura con uno smartwatch Suunto. L’azienda decide di dismettere l’interfaccia web che rende programmabile (e dunque infinitamente flessibile) l’orologio, creando ad esempio allenamenti molto specifici e dettagliati, in favore di un’app più semplice e decisamente molto più limitata.

Commenta il nostro (grassetto mio);

“Non è la prima volta che mi succede: account scuola di Google che vengono chiusi e io perdo tutti i moduli interattivi che avevo programmato, musica con drm che si appoggia a servizi che chiudono impedendo la riproduzione musicale e via dicendo. Gli esempi potrebbero continuare per pagine e pagine, da servizi di blogging, newsletter, vendita oggetti, social network.”

La tesi, dunque, è quella che dovremmo prestare molta attenzione (comunque molto più di quella – vicina allo zero in molti casi – che dedichino ora alla questione) nell’affidarci a sistemi e servizi cloud based.

Perché se è vero – e lo è – che “il cloud è semplicemente il computer di qualcun altro”, basta relativamente poco perché quest’altro deicida di spegnere tutto in quanto non più interessato (sotto questo punto di vista, trovo sempre incredibile come l’esperienza che in tanti “vecchi” hanno vissuto con il P2P non abbia portato frutto: se nessuno condivide, non c’è via d’uscita dall’impasse), o per semplice convenienza introduca cambiamenti che possono distruggere parti per noi fondamentali del servizio.

Ma è qui che occorre – a mio avviso – sottolineare un aspetto che mi pare passi un po’ sottotraccia nel pezzo di Fabrizio: non deve essere per forza così.

Dobbiamo sempre pensare a cosa succederebbe dei nostri dati se il servizio che utilizziamo domani scomparisse, o diventasse per qualsiasi motivo inadatto o insostenibile (penso ad esempi eclatanti e recenti come Twitter e Reddit): il formato dovrebbe essere il più aperto e “neutro” possibile e l’esportazione dei propri dati (che in moltissimi casi sono ciò che rende utile, interessante e di successo quel servizio) completa e alla portata di chiunque (senza procedure da sacrificio umano durante un plenilunio, o in formati che rendono di fatto impossibile fare altro che non sia riaccedervi tramite l’app o il servizio che stiamo cercando di abbandonare). Ma anche nei casi peggiori, quali ad esempio i due esplicitamente citati da Fabrizio, il problema è umano, non tecnico.

Soprattutto per quanto riguarda la perdita di moduli interattivi di Google, la responsabilità non è del cloud in quanto tale, ma di chi lo gestisce.

Non ha chiuso Google Moduli/Forms, ma chi aveva il compito di gestire quegli account scolastici (la cosa, purtroppo, non mi risulta strana né poco familiare) semplicemente non ha pensato alle conseguenze della disattivazione di quello specifico account.

Fatti salvi gli accordi commerciali di licenza (che non possiamo conoscere, ma che comunque sono aspetti legali e non tecnologici di un servizio, cloud o no), un brano audio offerto da un servizio che chiude i battenti può essere lasciato scaricare – SENZA DRM – agli utenti che ne abbiano diritto.

Come spesso, quasi sempre, accade e come ci ha insegnato il Condor, il maggiore punto debole di una tecnologia è quello tra la sedia e la tastiera.

É morto – a 59 anni e con un figlio in arrivo – Kevin D. Mitnick.

Una carriera spettacolare da hacker, che ha portato – oltre che ad una condanna a più di tre anni di carcere – ad uno dei libri più fighi che abbia mai letto:

“L’arte dell’inganno”.

La migliore spiegazione di come siamo tutti hackerabili.

Non i nostri dispositivi, proprio noi.

Una lettura illuminante non solo per chi ha un lavoro che “tangenzialmente” riguarda l’argomento, ma per chiunque sia dotato di una sana dose di curiosità.

Per tutti gli hacker, insomma.

Meno di 13€. Fatevi del bene.

Perché un mese di buco delle pubblicazioni? Semplice anarchia, mista a poco tempo per leggere e – di conseguenza – verificare se ho qualcosa di vagamente sensato da dire, più cinque (follia! BEN cinque) giorni qui.

David Smith comincia a giocherellare con VisionOS e – fortunelli noi – ci mette a parte di ogni decisione di design che occorre prendere per creare qualcosa che abbia davvero senso in un’interfaccia utente come mai ne sono esistite prima.

Il che mi fa venire ancor più voglia di mettere le zampe su un Vision Pro.

Mi pare interessante notare come ci si stia spostando sempre più velocemente e convintamente dalla realtà virtuale alla realtà aumentata.

Non credo sia per motivi puramente tecnici: abbiamo capacità di calcolo enormi in apparecchi piccolissimi, se davvero fossimo interessati sarebbe totalmente plausibile decidere una “soglia di compromesso accettabile” tra potenza bruta e “agilità fisica” (concetto un po’ più ampio della semplice portabilità, ma i cui contorni precisi al momento mi sfuggono abbastanza da non consentirmi una terminologia migliore).

Sospetto che abbiamo – tanto collettivamente quanto inconsciamente- che questa realtà ci piace troppo per obliterarla completamente, ma rimaniamo ancora abbastanza arroganti da essere sicuri di sapere come migliorarla.

“Allora tutti questi miliardi di investimento sul Metaverse serviranno a portare dentro principalmente boomer che però sono quelli più vicini alla morte fisica per cui il Metaverse diventerà la terra degli avatar zombi. Pupazzetti, avatar magari anche carini, fermi nelle piazze, sulle strade, nelle case, con lo sguardo perso nel vuoto, il Metaverse sarà la terra degli Zombi.”

Pasquale Russo – Mera Veste, o la terra degli zombi