Life In Low-Fi

Ora basta, anarchia!

Su Mastodon, tramite un repost di Stefano Quintarelli(sembra la fiera dell’Est? Un po’ lo è...) scopro che parecchi prodotti suAmazon hanno descrizioni e/o “nomi” che denunciano in maniera disperatamente esilarante la loro origine “I.A.-esca”. Attenzione, non stiamo parlando dei grandi classici, quei nomi stupidamente lunghi e pieni di termini messi lì apposta per compiacere la divinità pagana meglio nota come SEO: qui siamo di fronte ad un livello completamente nuovo.

L’articolo merita una lettura completa ed attenta, cui volentieri vi lascio. Ci si vede qui tra un po’.

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Bentornati. Adesso che tutti sappiamo le stesse cose, posso fare la mia superflua considerazione a latere.

Questa, signore e signori, è una nuova frontiera della pigrizia. L’Everest del fancazzismo. Anzi, no, il K2: c’è sempre spazio per migliorare.

Per quanto possa umanamente solidarizzare con il giovane indiano/vietnamita/-inserire altra nazionalità emergente del Sud Est asiatico o dell’Africa costretto per racimolare una paga da sussistenza a scrivere migliaia di stupide descrizioni per prodotti di dubbia qualità (visto? So anche essere gentile. A volte. Non vi abituate), qui siamo oltre.

Il passaggio dall’utilizzo dei template che rendono le suddette descrizioni da sweatshop tutte uguali al copiaincollare template ancora più generici (incredibile dictu, possono esisterne) generati da ChatGPT e i suoi fratelli, mi pare davvero degno di menzione.

Le possibili spiegazioni sono poche, ma abbastanza sfiziose; un paio che mi balzano in mente sono:

  • I suddetti lavoratori a mezzo renminbi all’ora si sono scocciati, hanno acquistato (tramite colletta e riducendo la quantità di cibo acquistabile al mese del 10% ognuno) un abbonamento a ChatGPT e si fanno scrivere le stupide descrizioni. Con un afflato neo-marxiano, poi, nemmeno si sbattono a completarle/personalizzarle un minimo, le incollano così come sono e in malora tutti, morte ai padroni e via dicendo.

  • Chi vende quel tipo di prodotti, di quel livello qualitativo (generalmente abbastanza basso) sa che le descrizioni non le legge veramente nessuno. Voglio dire, la vita è corta, davvero voglio sprecare minuti preziosi a leggere “custodia con cover con cordino per cordino con telefono di cover”?

Poiché credo che condividerete la desolante considerazione che il trend sia solo all’inizio e possa di conseguenza unicamente dilagare, almeno prendiamola a ridere. Ne va della nostra salute mentale.

Arrivederci [inserire aggettivo che definisce un rapporto di familiarità tra l’amichevole e il cameratesco, senza però suggerire e eccessiva intimità] [inserire termine generico che indica un gruppo eterogeneo d’individui ma con interessi vagamente comuni).

P.S. E niente, nemmeno se ci provo riesco a farle sceme e generiche uguali. Viva l’A.I. farlocca.

Scrive Luigi– interessante come al solito – circa l’opportunità di specificare che si esprimono opinioni personali, con un uso che lui giudica eccessivo dei vari “secondo me”, “a mio parere” e simili.

Posso condividere l’autoanalisi e il costante tentativo di “limare” i propri tic (dopotutto, ho un blog...), ma ritengo che a volte possa essere – nello specifico caso – una forma di gentilezza verso il mondo.

In uno stile comunicativo diffuso, quello abbastanza orribile in cui chiunque scaglia le proprie opinioni come sassate a propulsione di verità assoluta, ricordare che quanto si scrive è convinzione personale, dunque carburante per discussioni più che benzina sul rogo di qualcun altro, mi pare opera – mi sbilancerò – meritoria.

Tutto questo, ovviamente, secondo me.

Scrive Dan Moren che ha migrato i feed RSS che segue da Feedly (dentro Reeder) a iCloud (dentro Reeder).

I don’t want to knock Feedly here: I found their service stable and reliable for more than a decade, and not only did I not pay a dime for it, they didn’t put roadblocks in my way to leave. That’s actually pretty great, as far as service goes, and frankly I’m a little embarrassed that I didn’t throw some money their way. But as the year starts off, I like the idea of removing some of the little tech annoyances that I just take as a given and seeing if I can make my life a little smoother.

Mi trovo nella medesima situazione, e penso seguirò il suo esempio. Anzi, potrei considerare l’eliminazione (ove possibile) degli “intermediari digitali” uno dei propositi per quest’anno.

Una sorta di decluttering mentale che spero abbia i medesimi effetti di quello fisico che ogni tanto eseguo con gran soddisfazione.

Buona fine e miglior inizio (così ci siamo levati le formalità). Voi siete pirati audiovisivi? VI rifornite di materiale protetto dal diritto d’autore tramite canali traversi, vicoli bui di Internet nei quali ci si avventura come in posti familiari (specialmente se si ha una certa età e si è visto oramai un po’ di tutto), ma sempre e comunque guardandosi le spalle quel tanto che basta?

Vorrei attirare la vostra attenzione su una riflessione estemporanea, che ogni tanto mi riaffiora alla mente (non è la prima volta che ne scrivo, ma ogni volta mi ci arrabbio di più): sappiate che siete costretti a fare i pirati.

Pagate una quantità considerevole di denaro per usufruire di un numero che comincia ad avvicinarsi decisamente alla soglia del ridicolo di servizi streaming.

Netflix Amazon Prime Video Disney + Apple TV+ Now TV Crunchyroll

I contenuti di cui potete usufruire sono un’infinità, più di quanti riuscirete mai realisticamente a godervi nel poco tempo libero che i suddetti servizi (e mille altri) si contendono ferocemente (e accontentiamoci di considerare quelli a pagamento, perchè se inserissimo anche i gratuiti, la cosa non farebbe altro che apparirci più drammatica).

Tra questa mole enorme di materiale, ogni tanto, trovate una nuova serie del cuore. Quelle che vi restano impresse nella mente dopo che le avete finite, e dopo esservene goduto ogni istante, sperando che durassero magari di più.

Piccole gemme dal numero di puntate inferiore alle dita di una mano, o opere colossali multtstagione che (raramente o quasi) mai perdono un colpo.

Finito il tutto, vorreste conservarle, soprattutto in virtù dell’anagrafica di cui sopra, perchè se da bambini vi avessero detto che potevate avere una vostra videoteca personale nello spazio di un palmo di mano, ad altissima qualità e da godervi su uno o più schermi che vanno – a vostro piacimento e comodità – dall’enorme e suoerdefinito al piccolo e fruibile ovunque, avreste subito uno shock che vi avrebbe congelato in un catatonico sorrisetto idiota per mesi o anni.

Quindi, avendo pagato per scoprire queste gemme, decidete di ricompensare ulteriormente gli autori (o i produttori, o gli interpreti, o chicchessia: lasciamo da parte le questioni sulla ripartizione dei profitti, che qui c’entrano poco o nulla).

Pensate di poter fare una cosa che – semplicemente e con tutta evidenza – gli uomini fanno da secoli: collezionano cose che gli piacciono, specialmente per ciò che riguarda arte e cultura, bellezza e passioni .

Libri. Dischi. Quadri. Sculture. Strumenti musicali. Vini. Automobili. Giocattoli d’epoca.

Poniamo il caso che vogliate acquistare l’anime di Tokyo Revengers. Legalmente. In italiano, perchè siamo tutti poliglotti ma la lingua madre è sempre più comoda se si vuole concentrasi sulle sfumature della storia.

Impossibile.

Quanto al vederlo in streaming, auguri. Crunchyroll ha la stagione uno, doppiata. Disney + la due, solo sottotitoli.

E il manga?

Se lo voleste cartaceo, nessun problema: su Amazon è addirittura in sconto (poco, ma tant’è) e si trova in ogni libreria decente e fumetteria del globo, o quasi.. Mettiamo il caso, però, che non vogliate o abbiate la possibilità (tradotto: se entrano 31 tankobon in casa dovete uscire voi, ché mica tutti abbiamo la biblioteca di Villa Wayne a disposizione) di godervi le meravigliose copertine della sudddetta versione “classica”, ”fisica” o come preferite chiamarla.

Voi vi accontentate del digitale. Magari nemmeno si tratta di un “accontentarsi”, perchè il poter ingrandire le pagine ha una serie di vantaggi che l’età vi sta facendo scoprire in modo abbastanza impietoso. Magari sognate di costruire la perfetta libreria di manga e fumetti contenuti in un singolo, minimale e precisamente assemblato rettangolo di vetro e metallo.

Dove cercare? Ma ovviamente nella Giungla (®Dave Eggers). Che sarà felicissima di vendervi istantaneamente tutti i volumi (la serie è già finita), per di più ad un costo ovviamente e giustamente minore della controparte fatta di alberi abbattuti. La potrete leggere comodamente su Kindle. O su smartphone, dentro l’app Kindle. O su tablet , dentro l’app Kindle. O su computer , dentro l’app Kindle.

Cominciate ad intravedere il problema?

Ah, dimenticavo: se un domani Amazon cambiasse qualcosa nei suoi termini di utilizzo, potreste essere costretti a cambiare hardware. O a sceglierne solo uno o due su cui poterlo leggere. O persino a ricomprare tutto.

Chissà. La vita è una meravigliosa escursione nel mistero più insondabile.

Volete riesumare quella perla che è stata Boston Legal?

No streaming for you, babe. Acquistarla? Accomodatevi: la prima stagione in italiano, 5 DVD, 47€ e spicci. Le altre, boh. Avreste dovuto pensarci vent’anni fa: chi si ferma è perduto.

Sapete qual è la soluzione? La pirateria per scoprire, l’analogico per conservare e collezionare. Dove possibile, per esempio con i fumetti/manga.

Quindi si scaricano le scan e poi, colpiti da una storia scritta incredibilmente bene e da personaggi cui ci si affeziona subito, anche quando (soprattutto quando) si sa che non si dovrebbe, si compra il cartaceo. E pazienza per lo spazio, ci si stringerà un po’. (Va meglio per la musica, grazie a iTunes che Steve Jobs volle libero da DRM eoni fa. Sempre grazie, S.J. Per i film, invece, ancora tocca comprare e (sperare di trovare un modo efficace di) craccare. Che schifo.)

Viviamo nell’epoca dell’abbondanza mediatica più assoluta . Più d’uno dirà della sovrabbondanza. Abbiamo, almeno nella parte di mondo che siamo abituati inconsciamente a considerare quando non ci soffermiamo troppo a pensare e discutiamo di problemi come questo, la concreta possibilità di usufruire di non una me di dieci, cento biblioteche di Alessandria.

Il peccato mortale che possiamo commettere, ai danni di noi stessi e di nessun altro, è rendere difficile accedervi. Renderlo frustrante. Renderlo una graziosa concessione.

Far sì che, mentre ci si lamenta della crisi dei media dovuta alla pirateria, facendo passare il concetto che “la gente non vuole pagare” e “son tutti scrocconi o ladri” (Un atteggiamento tutt’altro che nuovo, sia chiaro. Nemmeno recente. Dimenticate già le oscene “pubblicità progresso” che equiparavano la pirateria audio video al borseggiò o al furto d’auto? Non credo,) , si renda pressoché impossibile a chi vorrebbe pagare per disporre a proprio piacimento di opere dell’ingegno farlo. Pagare due volte, per di più, il più delle volte.

Oltre al danno la beffa. Crudele, stupida e irrispettosa.

Da qui l’appello del titolo a chi ha potere decisionale su questioni di diritti, distribuzione e simili mostruosità: vendete tutto. A tutti. Nella forma più lineare possibile. Senza vincoli, senza stupidi sistemi che puniscono chi stipula con voi il più basilare e onesto contratto disponibile: soldi in cambio di valore percepito (materiale o immateriale che sia).

Non piangete miseria dicendo che “la gente non vuole pagare”.

La verità è che voi non volete vendere.

Volete mantenere un metaforico e idiota, odioso e assurdo coltello dalla parte del manico, godendo di una posizione di forza che nessuno dovrebbe avere.

Questa non è tutela, è ottusa avidità. È una limitazione alla circolazione di cultura, di idee, di bellezza. Uno dei più violenti crimini senza spargimento di sangue che si possano compiere, reso ancor più grave dal fatto che i mezzi tecnici spingono (spingerebbero) disperatamente nella direzione opposta.

P.S. Alla fine, ho iniziato a comprare la versione cartacea.

Aspe’ ho scritto “ho”? Volevo dire “avete”. “Avete”, sì. Io con questa storia non c’entro nulla...

..e non solo perché non ci sono i commenti :–)

Sono in un periodo di stanca da social, leggo (o cerco di leggere, tempo permettendo) cose almeno di media lunghezza, sto meditando di cancellare quasi tutti gli account e tenerne sostanzialmente tre:

  • Mastodon, perchè mi ricorda ciò che era Twitter quando era divertente e offriva qualche stimolo. Il suo essere “piccolo” potrebbe essere parte della soluzione, invece che del problema.

  • Instagram, perchè anche se odio Meta, parecchie cose che mi piacciono (esteticamente) le trovo ancora e l’algoritmo – molestia stile Meta a parte, appunto – funzione abbastanza bene (imbattibile, per me, resta quello di YouTube: certo aiuta il mio essere abitudinario, forse un filino ossessivo, ma devo dire che la homepage sembra quasi sempre davvero casa. Nella malaugurata ipotesi ci fossero tentativi di infiltrazione , basta qualche “mi fa schifo” ben assestato per ritarare correttamente il tutto.

  • Pexels, perchè è quello che Instagram potrebbe essere, se solo non fosse gigantesco e non fosse costato (e dunque non avesse l’obbligo di valere mijiardi.

Per gli altri, scriverò un post dedicato, lungo e pensoso (spero anche sensato, almeno in parte, ma chissà). Lo dico ora, così quando lo vedrete lo riconoscerete dal titolo e potrete agilmente schivarlo.

Questa, però, è davvero, ancora, casa.

Semplice, immediato, uno “svuota testa” che è sempre bello sapere di avere a portata di pollice.

“A proposito degli allarmi e delle diffidenze sull'uso nei giornali delle “intelligenze artificiali”, Benton ha provato a far scrivere a ChatGPT un articolo di cronaca, con le stesse indicazioni che dà ai suoi studenti in un corso universitario, e il risultato ha ottenuto questo suo giudizio: “Quello prodotto da ChatGPT sarebbe stato un articolo piuttosto mediocre ma, a essere sincero, ne ho letti di peggio scritti da umani”.

Le cautele sui software di questo genere, scrive lo stesso Benton, hanno due ragionevoli argomenti: uno è che commettono degli errori, l'altro è che possono sottrarre lavoro agli umani. Ed è giusto parlarne e considerare le conseguenze. Ma quando diciamo che le “AI” producono dei risultati peggiori di quelli prodotti dai giornalisti stiamo intanto parlando dei risultati peggiori delle AI e dei risultati migliori dei giornalisti: esistono già oggi testi giornalistici prodotti da AI con risultati più dignitosi di certi trascurati, sciatti, inesatti articoli scritti da persone.”

Da Charlie, la newsletter del Post “sul dannato futuro dei giornali”.

In un mondo di “colonne destre dei gattini” e foto sistematicamente fregate da Facebook, nel quale i titoli si avvicinano sempre più spesso al modello “quello che accade dopo è sconvolgente”, direi che la minaccia è assolutamente concreta.

Perfetta messa a fuoco di Lucio Bragagnolo su cosa debbano davvero fare le “macchine”:

“La vera intelligenza artificiale non è semplicemente generare un dato, ma elaborarlo in forma compatibile con le nostre abitudini umane e metterlo a disposizione in forma funzionale e comoda.”

La macchina lavora per noi, specialmente sulle cose noiose, in maniera che ci si possa dddicate a cose più interessanti e “umane”. Che poi si sia in grado di farlo davvero, è tutto un altro discorso.

Scrive @loox che Reddit ha deciso di cancellare le chat anteriori al 2023, “come se fossero nient’altro che chiacchiere”, traendone un (ennesimo) valido argomento a sostegno della creazione e manutenzione di uno “spazio web personale”.

Suppongo che – però – il motivo sia molto più prosaicamente quello di tentare di ripulire almeno una parte della shitstorm dovuta al cambio assurdo, arbitrario e vessatorio della politica prezzi nei confronti dei client terzi.

Va da sé che, come detto mille volte, Internet non dimentica.

Ottimo post – non è una novità – di Fabrizio Venerandi che racconta la propria disavventura con uno smartwatch Suunto. L’azienda decide di dismettere l’interfaccia web che rende programmabile (e dunque infinitamente flessibile) l’orologio, creando ad esempio allenamenti molto specifici e dettagliati, in favore di un’app più semplice e decisamente molto più limitata.

Commenta il nostro (grassetto mio);

“Non è la prima volta che mi succede: account scuola di Google che vengono chiusi e io perdo tutti i moduli interattivi che avevo programmato, musica con drm che si appoggia a servizi che chiudono impedendo la riproduzione musicale e via dicendo. Gli esempi potrebbero continuare per pagine e pagine, da servizi di blogging, newsletter, vendita oggetti, social network.”

La tesi, dunque, è quella che dovremmo prestare molta attenzione (comunque molto più di quella – vicina allo zero in molti casi – che dedichino ora alla questione) nell’affidarci a sistemi e servizi cloud based.

Perché se è vero – e lo è – che “il cloud è semplicemente il computer di qualcun altro”, basta relativamente poco perché quest’altro deicida di spegnere tutto in quanto non più interessato (sotto questo punto di vista, trovo sempre incredibile come l’esperienza che in tanti “vecchi” hanno vissuto con il P2P non abbia portato frutto: se nessuno condivide, non c’è via d’uscita dall’impasse), o per semplice convenienza introduca cambiamenti che possono distruggere parti per noi fondamentali del servizio.

Ma è qui che occorre – a mio avviso – sottolineare un aspetto che mi pare passi un po’ sottotraccia nel pezzo di Fabrizio: non deve essere per forza così.

Dobbiamo sempre pensare a cosa succederebbe dei nostri dati se il servizio che utilizziamo domani scomparisse, o diventasse per qualsiasi motivo inadatto o insostenibile (penso ad esempi eclatanti e recenti come Twitter e Reddit): il formato dovrebbe essere il più aperto e “neutro” possibile e l’esportazione dei propri dati (che in moltissimi casi sono ciò che rende utile, interessante e di successo quel servizio) completa e alla portata di chiunque (senza procedure da sacrificio umano durante un plenilunio, o in formati che rendono di fatto impossibile fare altro che non sia riaccedervi tramite l’app o il servizio che stiamo cercando di abbandonare). Ma anche nei casi peggiori, quali ad esempio i due esplicitamente citati da Fabrizio, il problema è umano, non tecnico.

Soprattutto per quanto riguarda la perdita di moduli interattivi di Google, la responsabilità non è del cloud in quanto tale, ma di chi lo gestisce.

Non ha chiuso Google Moduli/Forms, ma chi aveva il compito di gestire quegli account scolastici (la cosa, purtroppo, non mi risulta strana né poco familiare) semplicemente non ha pensato alle conseguenze della disattivazione di quello specifico account.

Fatti salvi gli accordi commerciali di licenza (che non possiamo conoscere, ma che comunque sono aspetti legali e non tecnologici di un servizio, cloud o no), un brano audio offerto da un servizio che chiude i battenti può essere lasciato scaricare – SENZA DRM – agli utenti che ne abbiano diritto.

Come spesso, quasi sempre, accade e come ci ha insegnato il Condor, il maggiore punto debole di una tecnologia è quello tra la sedia e la tastiera.