Life In Low-Fi

Ora basta, anarchia!

Il Voyager 1 continua ad essere fonte di meraviglia “collaterale”. Collaterale al fatto di essere una navicella spaziale lanciata nel 1977 e ancora funzionante a 24 miliardi di chilometri da noi, intendo.

Se Gruber chiosa – giustamente – chiedendo di ricordargli di questa fatica di Sisifo ogni volta che dovesse lamentarsi di dover fare il debug di qualcosa, io aggiungerei – come “bilanciatore d’umore” – di ricordarsi che cose come queste sono fattibili, quando ci sentiamo dire che è normale dover produrre svariate copie cartacee di documenti contenenti dati già in possesso degli enti che li richiedono e poi attendere mesi perché il tutto produca...qualcosa.

Non ricordo se ne avessi già parlato da queste parti, ma questi “sticker digitali” sono e restano puro genio. In qualche caso (qualcuno di troppo), genio al servizio della propria sanità mentale.

Mentre cercavo – stolto – di ridurre il numero di post non letti nella mia coda di Reeder, mi sono imbattuto in due articoli interessanti e strettamente correlati. In una maniera non del tutto positiva.

Portiamo all’attenzione della giuria il reperto numero uno: un post di Matthew Cassinelli su una nuova app che consente di scrivere presentazioni in Markdown. E no, non è iA Presenter (anche se ha il medesimo problema in una forma leggermente più irritante).

Bell’idea, realizzazione ammirevole, sembra che possa fare per me. Clicco sul link all’interno del post, mentre recito l’ormai solito mantra:”speriamo che non sia solo in abbonamento”.

Sul sito, alla voce “Pricing”, vedo un meraviglioso 35€ “one time purchase”. Gioisco, poi leggo l’intestazione: Mac version. Vabbè, penso stupidamente, la tariffa sarà unica (molti sviluppatori fanno pagare un prezzo cumulativo per le licenze di “ecosistema”. Stolto. C’è una sezione apposta per la versione iOS (“Uau, attenzione alla piattaforma!”) che porta direttamente alla pagina su App Store.

Abbonamento. Mensile o annuale. Nemmeno troppo caro. Ma solo quello.

Proseguiamo con il reperto numero due: un post di Loox su LibreItalia e i Copernicani, associazioni cui il nostro s’iscrive da anni, che svolgono un’azione meritoria e che dunque godono a giusto titolo della “vetrina” che viene loro offerta.

Poiché negli ultimi mesi sto “curiosando” sulle possibilità “estetiche” di PowerPoint (che resta un programma abbastanza orribile, ma con cui a livello grafico si possono fare cose interessanti con poco sforzo), mi viene la curiosità di verificare se l’app di creazione di slides di LibreOffice possa essere sfruttata allo stesso modo.

Io sono in una condizione di “iPad centrismo totale”: non ho un portatile Mac da anni, il fisso è un Intel i5 del 2014. LibreOffice funziona più che degnamente sul Mac.

Su iOS, in pratica, non esiste.

Qualche visualizzatore, un solo editor non ufficiale.

Questo vuol dire tagliare fuori un’intera fetta di mercato. Magari non grossa, magari non. Importante, ma che esiste.

Se nel primo caso può trattarsi di miopia commerciale, o meglio, di una legittima scelta che io considero miope in quanto utente direttamente “danneggiato”, nel secondo trovo la cosa decisamente più grave.

Chi intende opporsi ad un oligopolio (non è un monopolio, al massimo un duopolio, data l’esistenza della terrificante alternativa Google Docs, a mio avviso anche peggiore di Office365) dovrebbe avere come obiettivo primario – assieme al farsi conoscere come alternativa praticabile – quello della minor frizione possibile nell’adozione della propria soluzione.

Non si possono affidare le sorti del “cavaliere bianco delle Office Suite” al signor Akikazu (giuro, non è uno scherzo) Yoshikawa.

Questi sono tutti anelli di una stessa catena di pessime decisioni. E se un anello solo – fragile, mal pensato, mal realizzato – basta proverbialmente a spezzare la più solida delle catene, con così tanti anelli sbagliati possiamo agevolmente costruirne una che ci trascini a fondo.

Una considerazione al volo – decisamente troppo – sulla “restrizione” imposta in Inghilterra al film Disney Mary Poppins.

Siamo sicuri che “vietare”, “limitare”, “modificare”, “aggiornare” il linguaggio di opere di decenni (o secoli) fa sia la strada più efficace per far sì che l’ambiente sociale e culturale che li ha creati non si ripeta?

Se gli inglesi del primo Novecento chiamavano (seguendo gli olandesi che coniarono il termine) “Ottentotti” tutte le popolazioni dell’Africa colonizzata, non avrebbe maggior effetto didattico – nel senso letterale del termine – capire da dove provenga il termine e perché utilizzarlo possa essere anacronistico (al minimo) o problematico (al massimo)?

Nascondere la polvere che abbiamo creato sotto il tappeto della sensibilità moderna non la farà scomparire: otterremo solo che, se qualcuno decidesse di alzare il tappeto (e ne vedo parecchi in giro che non sembrano aspettare altro), la polvere ce la ritroveremo ovunque.

Anche il Tucci ha avuto l’ennesima riprova(non che ne avesse bisogno) che se la scelta è tra Amazon (freddo, efficiente e che tutela l’acquirente) e un rivenditore fisico freddo, inefficiente e che nemmeno tutela l’acquirente, tale scelta non esiste. L’unico vero vantaggio di comprare “da un essere umano” è l’essere umano stesso: se non si comporta come tale, preferisco l’algido algoritmo originale.

A deeper dive into Microsoft’s privacy policy shows what personal data it may extract: Name and contact data Passwords Demographic data Payment data Subscription and licensing data Search queries Device and usage data Error reports and performance data Voice data Text, inking, and typing data Images Location data Content Feedback and ratings Traffic data The policy offers a glimpse of where your data might end up(new window): Service providers User-directed entities Payment processing providers Third parties that perform online advertising services for Microsoft

Un approfondito e inquietante post di Proton sulla svolta “pubblicitaria” di Outlook. Interessante anche osservare come la quantità e la qualità di informazioni disponibili all’utente vari in base all’area di residenza (UE, UK o USA). Tanto per non cadere nel tranello di pensare che certe leggi non ci riguardino terribilmente da vicino.

Il perché del titolo? Giusto ieri recuperavo una delle puntate passate di uno dei miei nuovi podcast del cuore, Altri Orienti, che riguarda l’equivalente distopico indiano dello SPID.