Life In Low-Fi

Ora basta, anarchia!

Loox inserisce, tra le sue richieste per la WWDC, Siri offline sul dispositivo.

Consideratemi dei vostri prima di subito.

Oserei aggiungere un’altra richiesta: fatemi decidere cosa dare in pasto a Siri, da zero a tutto.

Non voglio più una lista di “Siri può...”, voglio un enorme pannello di controllo che sia costituito da un elenco sterminato (e da un eccellente motore di ricerca interno, stile Comandi Rapidi) di “cose che Siri è autorizzata a conoscere e usare”.

Dopodiché, (ri)elaborazione sfrenata (e locale), accesso ad ognuno di questi dati in ogni momento e sotto ogni punto di vista, e ci sarà da divertirsi.

Non credo basterebbe a convincermi a prendere un iPhone modello Padella Max, ma questo è un concept estremamente affascinante.

Una volta di più, Loox ci ricorda uno dei concetti più importanti dell’informatica: il computer lavora per te, non tu per lui.

Mai abbastanza chiaro, mai abbastanza applicato.

Grazie.

Vabbè, il titolo è quello che è (magari lo cambierò se dovesse venirmene in mente uno migliore, cioè decente, e chi leggerà passerà due secondi a guardare il tutto – specialmente quest’inizio di post – con aria perplessa, riflettendo sulle mie probabili dipendenze da sostanze psicotrope più o meno legali).

In realtà, la considerazione – uno di quei “pensieri da camminata” che vengono mentre si sta facendo tutt’altro e per catturare i quali nasce, in parte, questo blog – proviene da una mezza sfiga. Dopo vari anni di onoratissimo servizio, il mio iPhone XS ha deciso che è il momento di godersi la pensione. Cuffia auricolare andata, schermo che ogni tanto registra tocchi fantasma la cui combinazione potrebbe ordinare la famosa pizza “L’Indigeribile” da Gigetto Er Truce o scatenare un lancio nucleare con la medesima facilità. Ovviamente, mentre ce l’ho in tasca, quindi del tutto a mia insaputa.

Siccome non sono in vena di spendere i soldi necessari ad acquistare un iPhone 14 (Pro o meno) e sto cercando di temporeggiare valutando il nuovo – quando arriverà – mi sono rivolto al ricondizionato.

Amazon mi offre un meravigliosamente sobrio iPhone XR ROSSO a 244€. Visto, preso. Dopotutto, esiste sempre l’onorevole via di fuga delle cover.

Per la legge di Murphy, da qualche tempo ho anche problemi – minori – con le mie AirPods Pro di prima generazione: la sinistra, di tanto in tanto, gracchia leggermente. Stesso ragionamento, in attesa di un mood più appropriato a cambiarle (e del momento in cui cadranno DAVVERO a pezzi, ché io la tecnologia la devasto prima di cambiarla), le alterno con le EarPods.

Quelle a cavo. Esatto. 19€ senza offerte.

Devo dire la verità, ogni volta che mi capita di usarle (le avevo prese per non avere pensieri durante un viaggio in aereo; non date per scontato sia così facile usare auricolari wireless, la probabilità di trovare una “controparte” poco collaborativa è troppo alta, visto che ne andava della mia possibilità di godermi un viaggio in pieno isolamento e senza patemi di batteria) mi stupiscono.

Sono un “pezzaccio di ferro”, ormai reliquia di un tempo passato, superate in ogni aspetto – comodità, praticità in tasca, qualità audio – dalle controparti wireless (non stiamo parlando di hifi, ovviamente: un paio di cablate grosse come la testa dell’ utilizzatore e che costano 1000€ si mangiano a colazione qualunque cuffia “consumer”, ma provate a portarvi dietro il McIntosh cui sono attaccate 😏): eppure suonano BENE.

Bassi profondi, medi e alti distinguibili e godibili senza sforzo, il tutto probabilmente unito all’ottimo mixaggio dei brani di Apple Music (vero vantaggio rispetto a Spotify: suona meglio, senza appello).

Il tutto con un ingombro tollerabile (cavo attorcigliato a parte), un prezzo ridicolo rispetto a qualunque soluzione tws e zero batteria di cui preoccuparsi.

E allora,, schiacciate tra queste e le cuffie “serie” da centinaia di euro, che senso hanno le AirPods Pro?

A mio avviso, una e una sola cosa le rende perfette, specialmente in città: la cancellazione del rumore.

Sono abbastanza vecchio da ricordarmi la cancellazione del rumore nei primi anni ‘90. Il sistema si chiamava “alza il volume finché non lo sente pure quello del piano di sopra, viene giù e ti mena” e aveva il vantaggio di essere universale o – per dirla in maniera “tech” – “cross platform” 😏. Piccolo problema: la perdita di udito garantita. Poter ascoltare qualcosa, qualsiasi cosa, quasi ovunque, indipendentemente dal rumore circostante, senza avere in testa due etti di roba mentre si cammina o sembrare inopinatamente “ggiovane” senza esserlo (risate garantite), a volume “sano” è una svolta assoluta.

Esattamente il motivo per cui spendiamo 250€ per un paio di cuffie che – tutto sommato – ci fanno sentire la nostra musica come un paio da 19.

Single feature, but great enough.

“Per tirare le somme: se mi sono abbonato al Post, e ora ci scrivo pure, è perché quando leggo un giornale preferisco che sia scritto pensando a che cosa si scrive, e a come lo si vuole scrivere. Non c’è proprio nulla di “spontaneo”, nella scrittura. È un lavoro che richiede dubbi, esitazione, pensiero, rispetto dell’intelligenza dei lettori e anche della propria, facilmente latitante quando si scrive “in automatico”. Non voglio che un giornale di informazione sia “divertente” – se voglio ridere, mi rivolgo a qualche buon sito di satira, o guardo le locandine del Vernacoliere. Credo che le parole siano davvero importanti, e valga la pena usarle avendo ben chiari gli ambiti, i generi, il contesto. Come se si sapesse sempre quello che si sta facendo.”

Michele Serra

“Se Twitter è il posto in cui tutti diventano terribili e Facebook è la dimostrazione che tutti sono noiosi, Instagram ti fa temere che tutti siano perfetti. Tutti tranne te.”

Alex Hern

Seguirà ulteriore pezzo di delirio auto prodotto (appena smetto di leggere un libro in due/tre giorni; sì, è un ottimo periodo).

Dalla newsletter del Post “Charlie”, dedicata ai giornali:

“Un falso è un falso

Die Aktuelle è un settimanale femminile/scandalistico tedesco tuttora con una diffusione cospicua, che nel suo ultimo numero ha messo in copertina “la prima intervista” con Michael Schumacher, famoso pilota di Formula 1 che dieci anni fa ebbe un gravissimo incidente di sci e da allora la sua famiglia che lo cura non ha voluto che i media se ne occupassero. L'intervista della Aktuelle era un falso, costruito con un software di “intelligenza artificiale”, come si capiva all'interno del giornale. La famiglia Schumacher ha comunicato che sta pensando di denunciare il settimanale.”

Ah, signora mia, le A.I. rovineranno il mondo.

Non sarò stato l’unico a cui è impazzito il widget meteo di iOS. Almeno, spero di non essere stato l’unico (SO di non essere stato l’unico, me la tiravo per avere un giro di compassione digitale gratis).

Il problema è che – per me – è un micro pezzo dell’iPhone piuttosto importante. Mi muovo a piedi ogni volta che posso, ho – eufemismo dell’anno in arrivo – qualche cosina da fare ogni tanto ed in generale mi scoccia parecchio fare docce non richieste.

Ho quindi dovuto trovare piuttosto velocemente un sostituto, che alla fine si è rivelato essere OpenWeather.

Bell’app, buon servizio, precisione molto buona, ha un widget.

Il che, aprendo forse io l’applicazione Meteo un paio di volte all’anno, É l’applicazione. Sono state scartate applicazioni decisamente meritevoli perché i widget – quando c’erano – facevano schifo.

Adesso che il software nativo sembra essere tornato in sé, posso metterli uno contro l’altro e vedere chi mena più forte.

Devo dire che se la giocano: le maggiori differenze, non abitando in USA e non godendo quindi delle previsioni iperlocali, sono quasi totalmente estetiche. A me l’applicazione stock ha sempre garantito una certa sicurezza e precisione nel capire cosa aspettarmi dalla giornata.

C’è un singolo parametro, però, che a mio avviso sposta l’asticella verso Apple Meteo: la presentazione grafica del widget.

Quello di OpenWeather è minimale, ma ricco d‘informazioni: tutto ciò che consente di non aprire l’app si trova lì. Ma quello nativo SI LEGGE MEGLIO.

Non è solo questione di dimensioni del font (ma aiuta), o di disposizione degli elementi (ma aiuta): sono tutta una serie di “suggerimenti” visivi che fanno parte integrante del processo di trasmissione delle informazioni.

La temperatura attuale è più grande e visibile, più staccata dagli altri dati. Più distanza tra le previsioni di un giorno e dei successivi. Lo sfondo cambia “colore” a seconda delle condizioni meteo.

Il widget di OW lo leggi, sull’altro puoi “buttare un occchio” e le informazioni che ne ricavi sono le medesime.

Piccole differenze che 1 come quei sempre – noti solo quando vedi all’opera le alternative possibili.

Educativo.

Mi sto scontrando con la verifica degli account Mastodon. Che dovrebbe essere – letteralmente – questione d’incollare questo link. Che però, non pare funzionare, perché non riesco a far digerire al Markdown di Rant.li un tag html.

Non ho mai avuto spunte su Twitter e me ne frega poco che qualcuno si finga me su Mastodon (e nessuno sano di mente sarebbe mai interessato a farlo), ma sta diventando una questione (tecnica) personale.

Devo studiare.

Questo post di Lucio Bragagnolo mi ha fatto venire in mente la prima volta che ho letto Arancia Meccanica.

Il primo dei libri che ricordi ad aver richiesto di immergersi – in maniera quasi fideistica – non solo nella storia e nel mondo creato, fornendo zero spiegazioni e chiedendoti semplicemente di “andare avanti finché non ci capirai qualcosa” (l’ultimo esempio, clamoroso per brutalità nei confronti del lettore e parallela, equivalente spettacolarità del momento in cui tutto diventa chiaro, è “Inverso” di William Gibson), ma anche nel linguaggio usato.

E se si sopravvivere all’impatto, poche cose immergono in una storia come una “lingua segreta”.