Armiamoci e capite
Una delle molte cose citabili dentro quest’intervista al fondatore di iA a proposito dello stato attuale dell’intelligenza artificiale generativa è:
“[...] with some texts from Chat-GPT, I get the feeling that the meaning that should be in the text is being drawn out of me.”
Un’ottima rappresentazione di una sensazione che talora mi coglie leggendo cose che sono (potrebbero essere? Saranno davvero?) prodotte con l’AI utilizzata come scorciatoia.
Se da un lato, ed è lo stesso Oliver Reichenstei ad ammetterlo tra le righe, esistono casi di contenuti generati tramite l’intelligenza artificiale che non lasciano del tutto a desiderare (premio “Eufemismo dell’anno”, sei mio!), è anche vero che questi sono quelli che meno denunciano la loro origine.
È come se la pigrizia nel produrre contenuto (dovuta, chissà, alla smania di produrre “tanto”, oppure ad una cosciente o incosciente incapacità di fare di meglio in autonomia e con mezzi “classici” che fa ripiegare su soluzioni alla buona ma con zero impegno richiesto o quasi) avesse come effetto lo scaricamento totale sul lettore del compito di attribuire un senso a ciò che si vede o sente o legge.
Quanto sia involontario questo effetto e quanto chi lo produce ne sia non cosciente, non saprei dirlo.
O forse non voglio, stonerebbe con il mio “notorio ottimismo”.
P.S. Interessante anche questo passaggio sulla nascita della fotografia e ciò che comportò per la pittura: “When cameras emerged in the 19th century, artists had to reconsider why they should continue painting. The Impressionist movement arose from this. It was no longer enough to simply replicate nature. The essential was how one expressed their impression of nature. Something similar is happening today.” Mi ricorda uno dei saggi più interessanti che abbia mai letto, sempre più attuale ogni anno che passa.