Life In Low-Fi

Ora basta, anarchia!

Pensavo, ora che Vagabundo è tornato online, che c’è stato un aspetto della storia che lì per lì quasi non ho considerato, ma ora mi continua a ronzare in testa.

Un’altra differenza tra gestire un sito “complesso” (relativamente, molto relativamente: anche nei suoi momenti di maggiore “splendore”, Life In Low-Fi è sempre stato un blog “lineare”) e qualcosa di “minimo” (come queste righe) sta nel grado di preoccupazione e sbattimento quando qualcosa non funziona.

Anche senza considerare l’esperienza che mi ha fatto traslocare qui, ogni qualvolta mi si presentava un problema, iniziavo una sezione di troubleshooting che costituiva un carico – anche, se non sopratutto – mentale considerevole.

Sicuramente al momento il mio approccio alla scrittura qui è molto più “rilassato” di quanto sia mai stato in precedenza (con l’unica eccezione, forse, di un sito su Blogger di un paio d’ere geologiche fa che ancora esiste e che presto svuoterò, trasformandolo in un redirect per rant.li che nessuno vedrà mai); come nel famoso caso dell’uovo e della gallina, però, non so dire se questa sia la causa o la conseguenza del fatto che se qualcosa “si rompe”, qui o ancor di più sul “quaderno dei ritagli” non c’è quasi nulla che possa fare se non aspettare.

Esiste una sensazione di “parziale impotenza rilassante”? Adesso credo di sì.

A quanto pare, Vagabundo è tornato disponibile; la cosa pone – temporaneamente – fine alla telenovela, pur lasciando intatti i dubbi circa l’origine del problema.

Gli account del “creatore” su Telegram e Twitter sono ancora, rispettivamente, “inesistente” e “sospeso”.

Il dilemma circa la stabilità della piattaforma persiste, quindi mi chiedo se sia possibile fare “reverse engineering “ del bot alla base, magari per configurarlo per la pubblicazione su un proprio spazio web.

Indagherò.

...and the law won.

Nuova puntata della Telenovela in divenire nota come Vagabundo.co

Pare che l’account Telegram del creatore del bot non esista (più?) e quello Twitter risulta sospeso.

Cercherò di saperne di più.

Vagabundo.co è – al momento- irraggiungibile. Un “temporary out of service” non ai nega a nessuno, suppongo.

Qui, però, il problema è leggermente fuori asse rispetto al normale “devo affidarmi ai servizi di cui usufruisco”: qui c’è di mezzo Telegram.

Telegram è un gran servizio, ma con l’aumentare della sua popolarità è aumentata anche la sensazione da “black box” che l’utente ne ricava, specie quando non funziona come dovrebbe. Nel mio caso specifico, la sensazione è esponenziale, visto che – per ciò che concerne le sue attività “classiche” – Telegram funziona perfettamente.

E a voler essere pignoli, ciò che fa andare avanti Vagabundo è un bot, dunque una funzione canonica della piattaforma.

Dove starà il problema? Possibilità di debug autonomo, zero.

Quanto siamo disposti a dipendere dalle bizzarrie dei software che usiamo (ma la domanda si adatta anche ai servizi, agli strumenti fisici)? É più disagevole perdere temporaneamente un servizio essenziale, anche se si pensa – con ragione – che i tempi di ripristino saranno minori, o qualcosa di velleitario, che quasi ci fa sentire in colpa a lamentarci?

Arrivo -tramite uno dei blog di Nicola – ad un post che contesta l’utilità della “homepage fatta apposta” nei blog.

L’autore ha questa configurazione in uso: personalmente, la trovo splendida.

Concordo circa l’inutilità di una “homepage” in senso classico, pur ritenendo fantastica quella del blog di Robin Rendle (che però, bisogna ammetterlo, di “classico” ha davvero poco).

Non ho praticamente mai utilizzato tag e categorie, temendo possano farmi ricadere – in uno spazio che vorrei più istintivo possibile – nella sindrome dell’archivista: passare più tempo ad occuparsi della categorizzazione di ciò che scrivo, che della sua sostanza.

Detto questo, ho appena fornito due esempi molto diversi di blog, dichiarando – sinceramente – di ammirarli entrambi.

Credo non esista una sola formula, né che la conformazione di un sito dipenda solo dalla sua “categorizzazione”. Dietro il proprio angolino di internet esiste l’autore, con la sua personalità, i suoi gusti (anche estetici: sono convinto che il proprio sito debba piacere prima di tutto a se stessi) e le sue urgenze. Si scrive, su Internet è/o altrove, per mille motivi, ma tutti sono riconducibili ad un’urgenza personale, ad una passione.

Con il rischio che si corre continuamente di essere – volontariamente o più spesso inconsapevolmente – incasellati durante ogni nostra attività, questa potrebbe essere una delle pochissime occasioni in cui si riesce -non dico a sfuggire alla classificazione- ma almeno a decorare la scatola in cui siamo infilati.

Sto pensando ad una possibile “divisione” degli spazi online; se non per argomento, cosa a me impossibilmente fastidiosa , almeno per “stile” o “forma”, come preferite.

Questo sarà probabilmente l’erede diretto del vecchio blog vero e proprio, quello sulla famosa piattaforma eccetera eccetera.

Mastodon è ormai – quasi al 100% – IL social network, con Twitter relegato in un angolo pieno di muschio (ma non quello bello, da presepe; quello un po’ inquietante e mezzo fosforescente dei film horror/fantascientifico con la spora aliena che ci accoppa tutti).

Instagram è più consultazione, al momento, per due motivi. Non ho tempo quanto ne vorrei per “uscire a fare foto” (e sì, “la macchina migliore bla bla bla”, ma preferirei scattare con la Fuji che con un iPhone XR) e vorrei pubblicare più su Pexels che su un pezzo di Meta, per evidenti ragioni.

Vagabundo potrebbe assumere allora il ruolo dei “tids and bits”, ovvero dei frammenti puri e semplici, istintivi più che ragionati: citazioni, link, foto “al volo” e simili.

Detta così pare una cosa ragionevole, infatti un po’ mi preoccupa.

Vedremo.

NdA (nota dell’autore): Questo è uno dei post del “vecchio” Life In Low-Fi che ho scelto per fare da “ponte” con le mie nuove incarnazioni digitali. Perché va bene l’intrepida esplorazione dell’ignoto cyberspace 😏, ma qualcosa per fare “casa” ci vuole.

Continua felicemente l’esplorazione del Fediverso. La mia parte pessimista/realista dice che la tossicità ridotta sostanzialmente a zero dipende dal ridotto numero di utenti, soprattutto “generalisti” (in assenza di un termine migliore nella mia testa, attiva già da 4 ore); quella ottimista, che si può sperare che resti così, con un po’ di “vigilanza” degli utenti e degli admin.

Al momento, l’unica cosa che manca – tanto, a mio avviso – è un sistema facile ed universale di sincronizzazione del feed tra app diverse.

Una cosa simile (alla maniera del defunto TweetMarker) serve ora, molto più di quanto servirà in futuro, perché la fase di sperimentazione dei client è quella che stiamo vivendo adesso: tra qualche mese/anno, se tutto resterà in piedi come mi auguro, ognuno sarà già soddisfacentemente piazzato nel suo Ivory o Mona o IceCubes preferito.

Come già detto, scrivere mi è sempre piaciuto, quindi – in seguito alla mia guerra unilateralmente dichiarata alla nota piattaforma di blogging e al noto hosting economico italiano (devo configurare una scorciatoia da tastiera per non scrivere per intero tutte le volte questa formuletta) – sto cercando una nuova casa.

Al momento ne ho trovate addirittura due.

Una è questa, writefreely, che mi piace perché il concetto di “brain dump” é molto simile a quello che ho sempre cercato di ottenere con le mie diverse “incarnazioni online”: un posto dove riversare, appunto, i miei pensieri, le opinioni, dove farmi “domande a voce alta” (senza alcuna garanzia di trovare una risposta, ma vabbè), che ponesse il minor ostacolo possibile tra me e la “pagina bianca” (o nera, se usate il tema scuro del vostro terminale).

Perché mi conosco, e so – l’ho visto succedere molte volte – che se m’imbatto in eccessive possibilità di personalizzazione (non funzionali) vado in una spirale di perfezionismo apparente che va a discapito del contenuto.

L’altro mezzo che sto testando – grazie a Nicola per la dritta – ha dell’incredibile.

Non sapevo si potesse di fatto avere un blog chattando con un bot su Telegram. So che sono strumenti potenti, ne ho avuto qualche assaggio in passato, quando mi ero incuriosito di Homebridge, una delle piattaforme che ha lo scopo di rendere fruibili i prodotti domotici non nativamente compatibili con HomeKit all’interno del sistema Apple. Ma da qui a riuscire a gestire un blog (questa volta anche con immagini, seppur con qualche limitazione) semplicemente scrivendo messaggi ad un bot, ottenendo un risultato più che degno (sempre nell’ottica del “flusso di coscienza”, se cercate cose più articolate guardate altrove), ce ne passa.

La cosa straordinaria, a mio avviso, è che al netto di tutte le sue limitazioni, le quali però verranno notate quasi esclusivamente da chi ha già un’attività o un passato da blogger a qualunque livello, l’interfaccia da “chat qualunque” favorisce in maniera assolutamente inaspettata la trasformazione dei propri pensieri in parole.

L’ambiente è familiare, non c’è registrazione, non ci sono app da scaricare o configurare: si scrive e si pubblica, ottenendo un link singolo al post e una specie di “feed personale” cui gli interessati possono addirittura abbonarsi (anche se sto cercando di capire il meccanismo delle notifiche – credo sia interno al bot stesso come opzione).

Insomma, la soglia d’ingresso si è abbassata in maniera impressionante, soprattutto considerando le prime versioni davvero diffuse di “blog engine” (ho ancora – formalmente – uno spazio su blogger, retaggio di molte vite fa, che svuoterò e trasformerò in una pagina di “rimando” alle piattaforme che uso adesso, e che nessuno mai vedrà).

Questo, anche considerando la mediocrità che questa abbondanza potrebbe riversare su Internet, non riesco a vederlo se non come un bene. In fin dei conti, la mediocrità già imperversa in molti spazi, ma abbiamo ancora la possibilità di schivarla cercando un mostro cantuccio.

Hic manebimus optime.

P.S. ecco i due cantucci in cui mi si trova:

Rant.li Vagabundo

“ Many of the hazards of synthetic media, such as malicious deepfakes, have been well documented and need further attention. Still, AI elicits a special kind of anxiety for the film and TV industry’s creative classes. The question now on everyone’s mind is whether feature-length films made by text-to-video generators will eliminate the skilled labor of screenwriters, graphic artists, editors, and directors.

It is doubtful that Hollywood studios will launch a major lineup of AI-generated features anytime soon.”

Wired

Non solo i motori generativi sono al momento incapaci di sostituire in Totò la creazione da parte umana (tutti ci ricordiamo del problema delle mani, giusto?),ma penso ci sarà un’ulteriore fase di passaggio: quella nella quale ci saranno – come adesso nelle tecniche “tradizionali” – i fuoriclasse del prompt. Poiché una gran parte della variabilità del risultato -o quantomeno la parte che possiamo controllare di queste “Black box” – dipende dal prompt fornito, chi saprà “sussurrare alle AI” nel modo più convincente avrà ancora parecchio da dire.

Sperimentare molto per capire se vale la pena investirci il tempo oppure no, che s’è detto essere poco. Per esempio, supporterà Markdown? Il bold, l’italic e simili?

Oppure si può procedere con una “finta formattazione”, magari impostata su tag html?

Intanto, apriamo un altro fronte. (A proposito, i link? Tipo questo: https://lifeinlowfi.vagabundo.co/?) Quanto ci luce girovagare…