“None of the outraged commenters had listened to the podcast. They refused to based on the title, which I agree suggests that the podcast would be framing Rowling as a martyr. That was part of why I recommended it. I hoped folks would look past the title and give it a shot, since its contents were actually full of nuance, history, and context for where we find ourselves today.”
Qui si parla di Facebook. ma il motivo per cui sto disertando quasi totalmente Twitter in favore di Mastodon è il medesimo.
Da leggere assolutamente l’articolo di Stephen Wolfram (sì, quel Wolfram) su come funziona ChatGPT.
È un raro caso di scrittura tecnica a sufficienza da essere precisa, senza essere incomprensibile al di fuori della cerchia di addetti ai lavori, che ha quindi il vantaggio ulteriore di dimostrare (una volta di più) che c’è solo una cosa migliore della magia, ovvero la scienza spiegata bene.
Anche Fabrizio Venerandi scopre che (dopo averlo “bullizzato per mesi”, come lui stesso ammette), GPT4 s’inventa le cose.
Nella fattispecie, una recensione devastantemente negativa di un suo libro.
Prossimo passo, insegnarlo a comandare il braccio robotico cui anni fa facevamo fare esercizi di velocità con la katana in mano.
What could go wrong?
Bella analisi di Robin Rendle su un paio di storture osservabili in queste prime fasi d’adozione delle AI (il nostro si riferisce in special modo a quelle generative testuali – cioè a ChatGPT – quindi quelle che più interessano qui.
Per l’altra famiglia “famosa”, quella della generazione d’immagine, di cui fanno parte Midjourney e StableDiffusion, provo solo sentimenti d’invidia, presto sfociante nell’odio, dovuta alla mia totale inadeguatezza grafica.
Rendle pone in particolare modo l’accento sul rischio di “lasciar fare tutto alle AI”, in un pericoloso misto tra l’eccessiva fiducia nelle capacità di un sistema che per quanto impressionante è ancora acerbo e lo dimostra ogni giorno, e la pigrizia del “facciamo risolvere i tediosi problemi pratici alla macchina”.
Atteggiamento, quest’ultimo, che potrebbe tradursi in un ammasso di siti ed interfacce “ricicciate”, risultato di tentativi casuali (che le intelligenze artificiali, soprattutto in campo grafico, “tirino ad indovinare” è palese a chiunque abbia usato Midjourney, tant’è che i risultati migliori si ottengono con descrizioni vaghe: chiedi poco, non rimarrai deluso) e rimescolamento semplice dei medesimi elementi.
Volendo essere incredibilmente ottimista (sì questa malattia mi è rimasta), potrei provare ad ipotizzare che si tratti di entusiasmo ed incoscienza per lo strumento incredibilmente pieno di potenzialità che ci sta davanti e che quindi, non appena ci renderemo conto che è solo un altro cacciavite, questa cecità si attenuerà.
Non sparirà mai del tutto, ché c’è ancora chi scambia i social media per il Messia e non distingue la tecnologia dalla magia.
Ma se a tutto questo aggiungiamo che il principale attore dell’attuale panorama AI, quella società che già dal nome promette una cosa ben precisa, si sta comportando in modo del tutto diverso, il futuro rischia di essere attraente come una mano con sei dita.
“In the technology industry, if you don’t have attention, you are not relevant. And there is nothing scarier than irrelevance in Silicon Valley. It is like a Hollywood star losing their good looks. Ignoring someone in tech is essentially triggering their worst fears. Hence, the need to be in the spotlight and get attention. And control the narrative.
And nothing helps with this more than social media.”
On Malik
Intanto, Nicola mi fa scoprire questo bel siterello, AlbumWhale, in cui si possono creare liste di album.
Tipo questa.
Per quale scopo?
Perché sì.
Perché le liste sono fighe, la musica pure e se metti insieme le due cose viene fuori un libro meraviglioso, un gran film, una bella serie tv e questo sito di cui stiamo parlando.
Tre su quattro degli elementi della lista ( ;–) ) precedente hanno lo stesso titolo, tra l’altro.
Pensavo, ora che Vagabundo è tornato online, che c’è stato un aspetto della storia che lì per lì quasi non ho considerato, ma ora mi continua a ronzare in testa.
Un’altra differenza tra gestire un sito “complesso” (relativamente, molto relativamente: anche nei suoi momenti di maggiore “splendore”, Life In Low-Fi è sempre stato un blog “lineare”) e qualcosa di “minimo” (come queste righe) sta nel grado di preoccupazione e sbattimento quando qualcosa non funziona.
Anche senza considerare l’esperienza che mi ha fatto traslocare qui, ogni qualvolta mi si presentava un problema, iniziavo una sezione di troubleshooting che costituiva un carico – anche, se non sopratutto – mentale considerevole.
Sicuramente al momento il mio approccio alla scrittura qui è molto più “rilassato” di quanto sia mai stato in precedenza (con l’unica eccezione, forse, di un sito su Blogger di un paio d’ere geologiche fa che ancora esiste e che presto svuoterò, trasformandolo in un redirect per rant.li che nessuno vedrà mai); come nel famoso caso dell’uovo e della gallina, però, non so dire se questa sia la causa o la conseguenza del fatto che se qualcosa “si rompe”, qui o ancor di più sul “quaderno dei ritagli” non c’è quasi nulla che possa fare se non aspettare.
Esiste una sensazione di “parziale impotenza rilassante”?
Adesso credo di sì.
A quanto pare, Vagabundo è tornato disponibile; la cosa pone – temporaneamente – fine alla telenovela, pur lasciando intatti i dubbi circa l’origine del problema.
Gli account del “creatore” su Telegram e Twitter sono ancora, rispettivamente, “inesistente” e “sospeso”.
Il dilemma circa la stabilità della piattaforma persiste, quindi mi chiedo se sia possibile fare “reverse engineering “ del bot alla base, magari per configurarlo per la pubblicazione su un proprio spazio web.
Indagherò.
...and the law won.
Nuova puntata della Telenovela in divenire nota come Vagabundo.co
Pare che l’account Telegram del creatore del bot non esista (più?) e quello Twitter risulta sospeso.
Cercherò di saperne di più.
Vagabundo.co è – al momento- irraggiungibile.
Un “temporary out of service” non ai nega a nessuno, suppongo.
Qui, però, il problema è leggermente fuori asse rispetto al normale “devo affidarmi ai servizi di cui usufruisco”: qui c’è di mezzo Telegram.
Telegram è un gran servizio, ma con l’aumentare della sua popolarità è aumentata anche la sensazione da “black box” che l’utente ne ricava, specie quando non funziona come dovrebbe.
Nel mio caso specifico, la sensazione è esponenziale, visto che – per ciò che concerne le sue attività “classiche” – Telegram funziona perfettamente.
E a voler essere pignoli, ciò che fa andare avanti Vagabundo è un bot, dunque una funzione canonica della piattaforma.
Dove starà il problema?
Possibilità di debug autonomo, zero.
Quanto siamo disposti a dipendere dalle bizzarrie dei software che usiamo (ma la domanda si adatta anche ai servizi, agli strumenti fisici)?
É più disagevole perdere temporaneamente un servizio essenziale, anche se si pensa – con ragione – che i tempi di ripristino saranno minori, o qualcosa di velleitario, che quasi ci fa sentire in colpa a lamentarci?